Nel secondo dopoguerra in Italia comincia a prendere forma la cultura nazionale, fatta dall’amalgama tra le diverse tradizioni locali, dagli insegnamenti del grande cinema e della letteratura e poi diffusa e normalizzata grazie all’avvento della televisione.
Ma la cultura nazionale è anche, in gran parte, formata dalla cultura popolare che ha le proprie peculiarità in ogni regione e che è fatta di gente semplice, di usanze e solidarietà. In molti territori la gente si ritrova e crea nuove abitudini che contribuiscono alla diffusione del sapere e del vivere comune: nascono biblioteche e Università popolari; gruppi di artisti cercano di avvicinare le masse al teatro e all’arte; ci si organizza per far emergere i bisogni di alcune categorie di lavoratori; si cerca di preservare abitudini antiche e folkloristiche e nascono reti di assistenza sociale.
Si prova, insomma, a diffondere la cultura in ogni suo aspetto: che sia cultura umanistica, tecnica o di ideali.
Nel tentativo, per nostra fortuna ampiamente riuscito, di sollevare moralmente e intellettualmente le masse di contadini e braccianti, ma anche le donne e gli operai e tutte le categorie meno abbienti, o meno letterate, che la nuova Costituzione repubblicana eleva di rango e rende pari a tutte le altre.
L’Italia tutta pullula di vita intellettuale, in un movimento dal basso che diventerà negli anni una forte tradizione collettiva, tanto da far registrare ancora oggi oltre 359.000 associazioni no profit sparse in tutto il territorio nazionale (Istat, 2018).
È un fermento sociale che continua e che ha una sola chiave per il successo: l’agire comune.
Insieme.
Diffidate di coloro che mostrano rancore per il culturame, come con frase di dispregio collettivo definiscono le attività intellettuali. Perchè come l’ignoranza delle masse dissociate e bisognose è lo strumento della servitù collettiva, la cultura delle masse organizzate è lo strumento della libertà collettiva.
On. Enrico Molè, II congresso nazionale della cultura popolare, 1953